L'ideologia ambientalista    
Petizione internazionale contro l'ideologia del riscaldamento globale

Ecology: mithos and Frauds
SCIENCE & ENVIRONMENTAL POLICY
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La Sesta Conferenza delle Parti, del novembre 2000 all’Aya, secondo gli ambientalisti doveva riuscire a dare il via libera all’attuazione del Protocollo di Kyoto. Il trattato prevedeva l’accettazione di una riduzione drastica delle immissioni di CO2 e un rimborso di 150 milioni di dollari l’anno ai paesi in via di sviluppo da parte dei paesi cosiddetti “inquinatori”, principalmente gli USA.
Gli USA, Canada, Giappone, Australia e Nuova Zelanda hanno però rifiutato di accettare tale accordo malgrado le pressioni dell’Unione Europea e quelle dei paesi i via di sviluppo. Gli ambientalisti e la stampa e le televisioni di tutto il mondo hanno accusato di egoismo e inciviltà i governi di questi paesi per anni. Nessuno spazio è stato però dato ai motivi scientifici alla base di questo rifiuto. L’articolo che segue fa luce su questi motivi e sulla battaglia in corso, ignorata dai media, tra gli scienziati del clima e i sostenitori della propaganda ambientalista.


IPCC:  un clima di paura


Saggio di Robert E Stevenson, oceanografo che ha lavoarato alla stazione di Del Mar (California) della NASA. Dal 1987 al 1995 Stevenson è stato Segretario Generale dell’Associazione Internazionale di Oceanografia



La climatologia o scienza del clima è stata ideologizzata da una valanga di modelli computeristici totalmente fraudolenti. Prima del 1970 gli scienziati del clima ragionavano in termini di cicli di 100.000 e di 10.000 anni e discutevano di un “raffreddamento globale del clima della terra”. Da un punto di vista scientifico c’erano e ci sono tuttora tutte le prove che la terra sta venendo fuori da un periodo interglaciale di 10.000 anni e si sta avviando verso una nuova era glaciale. Alcuni scienziati pensavano che ciò potesse avvenire nell’arco di centinaia o migliaia di anni, altri pensavano che sarebbe bastato meno di 100 anni, In un discorso fatto all’Istituto di Oceanografia di La Yolla, California, il Prof. Yohn Isaacs, nel 1972 sostenne, con ampie motivazioni, l’ipotesi del decorso più veloce verso la glaciazione.
La National Science Foundation (USA) e la National Accademy of Sciences (USA) iniziarono entrambe a lavorare intorno all’ipotesi della nuova era glaciale. L’enfasi non era tanto sulla climatologia ma su i vari scenari con cui il clima poteva cambiare in poco tempo e come ciò avrebbe influito sulla società, per esempio spingere intere popolazioni a muoversi verso Sud.
Le “agenzie scientifiche” iniziarono allora ad usare modelli computeristici per studiare il clima. La scienza del clima era basata sullo studio delle correlazioni tra i cicli astronomici del sole e i cambiamenti a lungo termine del clima sulla terra. Gli scenari prospettati dal raffreddamento globale del clima portavano tutti ad un maggior uso di combustibile fossile, di tecnologia e ad una spinta verso lo sviluppo industriale.
Fu allora messa a punto la “frode ambientalista”.
Furono “inventati” scenari diversi che puntavano ad accusare le tecnologia e l’industria per i disastri ambientali, scenari che erano mirati ad indurre le popolazioni ad un uso ridotto delle risorse naturali e ad un calo demografico.
Praticamente fu messa da parte la scienza del clima basata sullo studio dei cicli solari, la geofisica e l’oceanografia, e cominciarono a proliferare modelli sul “riscaldamento globale” del pianeta dovuto all’effetto serra, e quindi in ultima analisi, alle attività umane.


L’effetto serra è un fenomeno naturale

L’effetto serra nell’atmosfera è conosciuto e studiato da più di 100 anni. E’anche ben conosciuto che CO2, CH4, O3, H2O (vapore) producessero effetto serra.
L’effetto serra “naturale” (senza l’input di CO2 e di altri gas prodotti negli ultimi 150 anni) ha fatto aumentare la temperatura della terra di 15 C con ghiacciai che si estendevano in tutti Nord America e nel Nord Est dell’Europa, tale aumento della temperatura praticamente ha permesso lo sviluppo della attuale società umana.
Nel 1896 Sven Arrhenius dell’Università di Oslo (Norvegia) studiò il problema dei cambiamenti climatici in relazione all’aumento della percentuale di CO2 nell’atmosfera a causa del consumo del combustibile fossile. La questione era gia stata sollevata dieci anni prima dal noto matematico Yean Babtiste Fourier e da Yhjn Tyndell. Sessanta anni dopo il figlio di Sven, Gustav convinse il direttore dello Scripps Istitution of Oceanograpfy di La Yolla (California), Roger Ravelle, della necessità di misurare regolarmente la CO2 nell’atmosfera. Revelle fu d’accordo e incaricarono un giovane post-dc, Dave Kelling di installare un osservatorio per il rilevamento della CO2 sulla montagna di Mauna Loa (isola delle Hawaii). A quella altezza la misura della percentuale di CO2 era al di sopra dello strato di atmosfera interessato dai fenomini di inversione dovuti dall’oceano. Sembra che nel 1970 Keeling avesse raccolto abbastanza dati che Revelle potè annunciare che la percentuale di CO2 nell’atmosfera stava aumentando.
Malgrado a quei tempi non esistevano le analisi microchimiche sul C12 e sul C13, che avrebbe indicato la provenienza della CO2, fu subito preso per buono che tale aumento fosse dovuto alla CO2 prodotta dai combustibili fossili usati dall’uomo.
All’inizio del 1980 furono quindi installate altre stazioni per il rilevamento della CO2, nelle Bermuda e nell’Antartide e inoltre sistematicamente furono presi con palloni ed aerei diversi campioni di atmosfera a varie altezze.
Nel 1990 fu annunciato pubblicamente che i dati raccolte indicavano un aumento della percentuale di CO2 del 23% rispetto al 1840.
Poiché nel 1840 non venivano fatte misure sulla percentuale di CO2 nell’atmosfera il dato era ovviamente ipotetico, fu presentato però come un fatto assodato scientificamente.
Ovviamente un simile aumento non è credibile, queste conclusioni infatti furono sostenute e adottate solo a causa della spina del nuovo e crescente movimento ambientalista.
La questione del “effetto serra” fu quindi presentata come “evidante”.
Chi potrebbe dubitare degli “scienziati” dicono ambientalisti.
In mano ai giornali e alle televisioni la storia diventa famigliare e assume toni terroristici; i gas CO2, NO2, etc. prodotti dall’uomo provocano l’effetto serra, la terra si riscalda, il livello del mare aumenta a causa dello scioglimento dei ghiacci delle calotte polari, grandi regioni agricole e urbanizzate verranno sommerse. Inoltre l’aumento dell’evaporazione porterà sconvolgimenti climatici, i sistemi di irrigazione verranno distrutti, ci saranno desertificazioni e inondazioni.
Si tratta di speculazioni senza fondamento scientifico, è stato provato scientificamente che l’ultima volta che la terra è stata più calda di oggi, durante il picco del periodo interglaciale da cui stiamo uscendo, da 1200 a 1400 anni fa, si raccoglievano le uve in Inghilterra e in Groenlandia (Vineland- terra del vino). Prima, 1800 anni fa, c’erano aranci a Natchez (Miss) e il Sahel era una terra fertile. Da questo punto di vista, più a lungo temine, è quindi sbagliato dire che la terra si sta scaldando.

Solo speculazioni

Ci fu e c’e tuttora, ovviamente, un forte disaccordo sulla tesi del riscaldamento globale dell’atmosfera. Per citarne alcune: un riscaldamento dell’atmosfera avrebbe portato ad un riscaldamento dell’oceano e quindi ad un aumento dell’evaporazione. L’aumento rispetto alla normale nuvolosità avrebbe fatto diminuire la radiazione solare sulla terra abbassandone la temperatura. L’aumento delle precipitazioni inoltre avrebbe dovuto allargare i ghiacciai dell’Antartide e della Groenlandia e ciò avrebbe portato ad un abbassamento e non ad un innalzamento del livello del mare. Piogge più abbondanti del normale dovrebbero far aumentare la crescita della vegetazione, diminuendo l’area delle regioni aride e aumentando la produzione di raccolti a livello mondiale.
Solo la migliore conoscenza delle interazioni e dei flussi del sistema ambientale terrestre ci può far prevedere gli effetti del clima sugli oceani, e ghiacciai, i fenomeni atmosferici.

La propaganda ambientalista invece di basarsi sulla ricerca scientifica ha sempre seguito la politica degli annunci clamorosi. Nell’agosto del 1988, in uno dei giorni di caldo record, Yames Hansen del Centro di Volo Spaziale Goddard della NASA, ad un Comitato del Congresso a Washington, dichiarò che era in atto il “riscaldamento globale” del pianeta. Da quel momento per gli scienziati e i tecnici dei laboratori federali USA, e per quelli delle agenzie non governative a vocazione ecologica ( WorldWatch, WWF, Greenpace, Sierra Club, etc.) l’annuncio dell’accetazione politica di questa linea era la premessa di un’era di abbondanti finanziamenti.
Furono creati anche nuovi centri: l’Office of Climate Changes all’interno della National Accademy of Science (USA), fu creato anche il nuovo gruppo internazionale l’International Geo- Biosphere Program. Le Nazioni Unite velocemente organizzarono l’United Nations Enviromental Program (UNEP), con a capo il direttore Dott. Nuoel Brown, un sociologo.
L’UNEP varò immediatamente l’International Panel on Climate Ch’ange (IPCC) e fondò il World Research Programm (WCRD). I soldi arrivarono a palate.
Uno dei primi “prodotti” di queste istituzioni fu la preparazione di un “trattato” da far firmare ad un “summit” internazionale in cui ogni paese si sarebbe impegnato ad abbassare “l’impatto crescente della specie umana sull’ambiente, ed evitare le catastrofi annunciate dagli scienziati”.
Secondo tale scenario la specie umana e in particolare le popolazioni più sviluppate dell’occidente erano i “cattivi” che portavano alla distruzione il pianeta. Si fece così il summit di Rio del 1992 sui cambiamenti del clima sulla terra. Una manciata di paesi firmò il “trattato” dando all’ONU il compito di “controllare” le attività che i modelli computeristico consideravano dannosi per il clima. In particolare le immissioni di gas serra. I paesi meno ricchi, che quindi avevano meno risorse per “influenzare il clima globale”, secondo il “trattato” dovevano essere risarciti dai paesi “inquinatori” con 150 miliardi di dollari l’anno. Gli Stati Uniti, la Russia, la Cina, l’India e diversi paesi europei come l’Inghilterra, non firmarono il “tratto”.


L’IPCC suona l’allarme

Prima che il Summit di Rio si facesse nell’estate del 1992 fu necessario avere un documento ufficiale sugli “effetti” dell’influenza dell’attività umana sulla temperatura del pianeta. Questo documento fu preparato dall’IPCC nel 1990 da circa 200 “professionisti” dei diversi paesi dell’ONU. Capeggiati dal meteorologo Dott. Bert Bolin, il gruppo includeva Sir. Yohn Honghton (U. K.), Thomas Wigly dell’US National Oceanographic Atmospheric Administration (NOAA) e diversi altri scienziati di grande reputazione. C’erano anche esponenti dichiaratamente ecologi come Merylin Hedger del WWF. Da persone come Bolin, Honghton e Wigly ci si poteva aspettare il rispetto della verità scientifica mentre gli altri erano impostati ideologicamente. Il rapporto del 1990 dell’IPCC malgrado la presenza di prestigiosi scienziati fu uno scandalo, esso affermava che nel secolo passato la CO2 era aumentata del 30%, che la media delle temperature sulla terra era aumentata di 1,2-1,5 C e che il livello del mare era salito di 50-60cm.
Il rapporto quindi prevedeva che entro il 2050 la CO2 nell’atmosfera sarebbe salita di un altro 50% che la temperatura dell’atmosfera sarebbe aumentata di 3-4 C e che il livello del mare sarebbe aumentato di 6 metri a causa dello scioglimento delle calotte polari.


La risposta del geofisici

Gli scienziati di geofisica, gli oceanografi, i chimici e fisici dell’atmosfera furono tutti sorpresi dal rapporto e dalla vasta pubblicità sui media, anche quelli più popolari, per le sue conclusioni che in verità erano delle semplici “speculazioni”. Non vi erano infatti ricerche scientifiche valide per sostenere le previsioni del rapporto dell’IPCC. Sembrava che giornalisti e editori, dei giornali e della televisione, si fossero improvvisamente trasformati da reporter in sostenitori delle tesi ambientaliste. Diversi scienziati manifestarono apertamente il loro disaccordo. Per far solo un esempio, Axel Normer della Università di Stoccolma in una riunione dell’Associazione Americana sull’Avanzamento della Scienza a New York confutò la previsione di un aumento del livello del mare di 6 metri semplicemente dicendo che non c’era abbastanza acqua nei ghiacciai alle latitudini intermedie per provocare un simile risultato. Egli inoltre tenendo per buono l’aumento di 4C della temperatura per il 2050 calcolò che avrebbe comportato un aumento del livello del mare di solo 4 pollici.
Robert Steward dell’Università Victoria a Vacouver fece un discorso al meeting del Yoint Oceanographic Assembly (Acapulco, agosto 1988) sulle condizioni che influivano sul livello del mare. Considerando ogni possibile fattore egli concluse che il livello del mare non si era sollevato più di 1 mm per anno negli ultimi 200 anni e che anche attualmente si procedeva a questo ritmo.
K.O. Emery e David Aubrey del Woods Hole Oceanographics Institution, verificarono l’analisi di Steward e nel loro saggio “Sea Level, Land Levels and Tide Gauge a Tour de Force” del 1991 analizzarono tutti i dati disponibili dal 1980 al 1990 e confermarono che il livello con cui l’acqua entra nel ciclo dell’oceano determina l’aumento del suo livello di 1mm/anno. Bob Ballino della Università di Stato dell’ Arizzona, un climatologo molto rispettato, in un discorso alla riunione dei Doctors for Disaster Preparedness a Tucson nel 1994 disse: “Dal 1979 al 1990, un periodo durante il quale le immissioni di gas serra nell’atmosfera, secondo gli ambientalisti, sono state particolarmente intense, le temperature effettuate dai satelliti hanno mostrato un riscaldamento medio dell’atmosfera di solo 0,001C ( se nelle misure raccolte fossero stati inclusi anche i dati del 1991 e del 1992 si avrebbe avuto non un riscaldamento medio ma un raffreddamento a causa dell’aerosol emesso dall’esplosione del vulcano del monte Pinatubo). I modelli computeristici sul clima prevedono invece che nello stesso periodo, a causa dell’aumento della CO2, si avrebbe dovuto avere un aumento di almeno 0,3 C”. I dati dei satelliti, continuò Ballino, praticamente indicano che il riscaldamento non c’e stato e contrastano con le tesi dei sostenitori del “riscaldamento globale”.
“E’ evidente che sia a livello generale che regionale, i cambiamenti osservati nella temperatura del pianeta non solo consistenti con quelli che ci si aspetterebbe derivanti dall’aumento del gas serra nell’atmosfera”. Gli aumenti di temperatura più consistenti dell’atmosfera, inoltre, sono avvenuti prima del 1920, cioè prima che le immissioni dei gas diventassero consistenti. Una così piccola variazione di temperatura è in contraddizione con le predizioni catastrofiche in circolazione. Occorre tenere presente che oltre alla concentrazione di CO2 e di altri gas serra ci sono molti altri fattori che influiscono sulla variazione della temperatura del pianeta. Il riscaldamento, quando c’e stato, non è avvenuto dove i modelli computeristici indicavano dovesse avvenire. Per esempio la regione Artica. Inoltre la maggior parte di tale riscaldamento è avvenuto di notte, quando non c’e l’effetto serra. Possiamo dire che i picchi di temperatura dell’ultimo secolo non indicano che stiamo procedendo verso l’apocalisse dell’effetto serra”. questi commenti di Bob Ballino furono ripresi e confermati dagli scienziati del clima di tutto il mondo.
Il problema dei modelli computeristici usati del 1980 ai giorni nostri e che per studiare il clima le variabili in gioco sono molte. In questi modelli molte, troppe variabili sono state spesso ignorate a talvolta addirittura valutare in modo errato: la variazione di temperatura della superficie del mare, l’effetto delle nubi, i moti convettivi e la circolazione delle acque nella profondità degli oceani, l’effetto “butterfly” di Lorenz, etc. L’effetto della presenza di nubi, per esempio, secondo i modelli al compiuter, è quello di produrre riscaldamento., tutti i dati dei satelliti invece indicano che le nubi raffreddano e non riscaldano l’atmosfera. Tra i più noti studiosi di modelli computeristici per lo studio del clima Michelal Schlessinger della Oregon State University affermò: “avete ogni diritto di essere scettici rispetto alle previsioni di tali modelli. La nostra capacità di misurare il riscaldamento globale è vicino a zero”. Schlessinger non fu il solo a criticare i modelli computerisitici usati dai climotologi, molti esperti che lavoravano nei laboratori del governo alla NOAA e alla NASA furono allontanati per aver fatto simili affermazioni. Queste tra l’altro non furono mai riprese dai media. Gli scienziati che non erano sotto il controllo delle agenzie federali, o dipendenti da fondi federali, continuarono a fornire e a pubblicare dati che presentavano una visione contraria a quella che la IPCC, la WMO e la MGO pubblicizzavano.
Uno degli studi più importanti fu messo a punto da un gruppo di scienziati dell’Università di Oslo capeggiato dal Dott. T.V. Segolstad. Essi fecero una dettagliata ricerca sulle percentuali dell’isotopo stabile di carbonio sugli atomi che formano la CO2 nell’atmosfera. Lo studio fu fatto sulle bolle di aria intrappolate negli strati profondi del ghiacciaio antartico risalenti fino a 3000 anni fa. Questi dati furono poi comparati con quelli di Davide Feeling dell’osservatorio di Mauna Loa e di altre stazioni dell’emisfero settentrionale. Come fu riportato personalmente da Segolstad: “almeno il 96% della CO2 atmosferica proviene da fonti diverse dalla combustione di combustibile fossile, cioè dai vulcani e dagli oceani. In pratica per il “budget” della CO2 nell’atmosfera la degassazione del mare e le emissioni dei vulcani sono molto più importanti della combustione di combustibili fossili o di materiale bioenergetico”. Segolstad rilasciò queste affermazioni in un discorso alla Conferenza Chapman sul “Clima e Aerosol Vulcanici” nelle Hawaii nel 1992. Nei due anni successivi egli e i suoi colleghi dell’Università di Oslo continuarono le loro misure delle percentuali dell’isotopo stabile dell’carbonio su migliaia di campioni, dall’atmosfera alla stratosfera, in diverse parti del mondo. Segolstad pubblicò quindi un aggiornamento dei suoi studi nel 1994 mostrando che tale percentuale non cambiava rispetto a quella del 1992. Anche Dave Feeling (stazione di Mouna Loa) fu d’accordo con Segolstad nell’attribuire maggiore importanza alla CO2 proveniente da fonti naturali (mare e vulcani) rispetto a quella derivante dalla combustione.
Potete facilmente immaginare la reazione degli ambientalisti nell’apprendere che non c’e un riscaldamento globale del pianeta e che le attività umane non hanno un impatto significativo sulla percentuale di CO2 nell’atmosfera e nella stratosfera e che non determinano quindi cambiamenti sul clima. Gli ambientalisti e le organizzazioni pubbliche e private che sostenevano le loro istanze reagirono immediatamente minacciando personalmente le carriere e le famiglie di quelli che sostavano queste verità scientifiche e si mossero per richiedere una maggiore regolamentazione a livello nazionale e internazionale che portò alla proliferazione di una mastodontica burocrazia.
Riportiamo qualche dettaglio dello scontro tra scienziati e ambientalisti tra il 1990 e la successiva conferenza dell’IPCC del 1995. Nessuna analisi o dato dei geofisici riportato sulle riviste specializzate o presentato in conferenze qualificate sembra che abbia avuto il minimo impatto sull’IPCC, la WMO e la UNEP. Per i media e le televisioni di tutto il mondo il discorso era chiaro, solo le tesi catastrofiche degli ambientalisti avevano spazio.
Per la letteratura scientifica la situazione è diversa, dal 1992 sono stati pubblicati più di 2800 articoli e saggi che contraddicevano la tesi del “riscaldamento globale”.


Il rapporto dell’IPCC del 1995


Il lungamente atteso rapporto dell’IPCC del 1995 fu profondamente “rivisto” rispetto a quello del 1990. In aprile, 3 mesi prima l’uscita del rapporto, membri dell’IPCC e osservatori di varie nazioni si incontrarono a Maastricht in Olanda per prendere visione anticipatamente e commentare il rapporto preparato dallo staff dell’IPCC. Era programmato che i membri dell’IPCC avessero il rapporto in visione qualche settimana prima di questo incontro e quindi dividersi in gruppi di lavoro in relazione ai vari argomenti. Nessuno ricevette però tale rapporto prima e neanche quando arrivarono a Maastricht. Nondimeno durante la confusione dei primi giorni lo staff dell’IPCC diede un comunicato alla stampa internazionale dal titolo: “Conclusioni raggiunte dagli studi dell’IPCC negli ultimi 3 anni”. Nessuno dei membri dell’IPCC aveva mai visto prima tale comunicato. Il Dott. Fred Seitz, ex presidente della Accademia Navale Nazionale Americana delle Scienze e ex presidente dell’Università Rockefeller era furioso. Egli tornò immediatamente a Washington e incontrò subito il Segretario di Stato e il Presidente dell’Accademia Nazionale della Scienze. Il risultato di questi incontri furono una serie di lettere di condanna e di censura indirizzate al Segretario dell’ONU Bhoutos Ghali. Al capo del WMO, e al direttore del Programma Ambiente dell’ONU e a Bert Bolin presidente dell’IPCC.
L’incontro successivo dell’IPCC fu a Boolder in Colorado nel 1955, durante l’assemblea generale dell’Unione Internazionale di Geodesia e Geofisica. In questa occasione l’IPCC modificò le previsioni del 1990. In particolare passò dalle previsioni per il 2050 a quelle più lontane del 2100.


Le modifiche delle previsioni dell’IPCC del 1995

Il rapporto prevedeva un aumento della percentuale di CO2 a causa della combustione di combustibili fossili; non c’era alcuna menzione delle analisi e dei dati forniti dai ricercatori dell’Università di Oslo ne quelli relativi all’immissione di CO2 nell’atmosfera da parte degli oceani. Nel rapporto veniva dato molto spazio all’aumento del metano (CH4) nell’atmosfera, non veniva però menzionato il metano prodotto dalle eruzioni vulcaniche il quale, negli ultimi dieci anni, è stato tre volte superiore a quello emesso negli ultimi 40 anni.
Fu dichiarato che “gli ultimi anni erano stati i più caldi dal 1960” e che la temperatura media globale era aumentata dalla fine dell’1800 ai giorni nostri di 0,3-0,6 C. Non veniva però menzionato che gli anni tra il 1920 e il 1940 sono stati i più caldi del secolo e che dal 1940 ai giorni nostri la temperatura media è andata diminuendo. L’aumento di temperatura dell’ultimo secolo menzionato dall’IPCC era quello misurato dai meteorologi e analizzato Bob Ballino. Ballino personalmente non fu però mai menzionato sul rapporto.
Il rapporto dell’IPCC prevedeva per il futuro che la % di CO2 sarebbe arrivata alla fine del 2100 a 500 parti per milione in volume, e che sempre per la fine del 2100 la temperatura sarebbe cresciuta di 1C.
Poiché 3 decimi di grado stanno facilmente entro il margine di errore dei termometri usati nelle misure e altri 5 decimi di grado sono sempre incerti a causa dell’effetto “isole di calore” delle città, che tendono ad aumentare artificialmente le misure delle temperature, l’aumento di temperatura previsto si riduceva a ben poca cosa.
Il rapporto continuava asserendo che nell’ultimo secolo il livello del mare era salito dai 10 ai 25 cm. e che la previsione dell’aumento di temperatura di 1C avrebbe fatto aumentare il livello del mare entro il 2100 di altri 15 cm. Il rapporto dell’IPCC non spiegava le modalità di questo innalzamento. Nel rapporto semplicemente si prendeva il coefficiente di espansione volumetrico dell’acqua e lo si moltiplicava per il volume degli oceani e l’aumento della temperatura di 0,5 C. Una cosa assurda, considerando le modalità del trasferimento di calore dell’atmosfera attraverso la superficie degli oceani e quindi alle acque più profonde, si avrebbe un aumento del livello del mare per il 2100 di 0,03mm.
Da uno studio congiunto dell’MIT e del British Metereological Office è possibile rilevare e dati relativi alla temperatura dell’atmosfera e della superficie del mare dal 1856 al 1987. Questi dati furono presi da migliaia di navi che hanno attraversato i mari e gli oceani di tutto il mondo negli ultimi 130 anni. Lo scopo della ricerca era indirizzato a capire come la temperatura dell’acqua poteva influenzare i venti. Tutti concordano che i grafici del MIT/British Office indicano che non ci sono stati cambiamenti di temperatura sulla superficie del mare e sull’atmosfera sovrastante dal 1856 ai nostri giorni. Da notare inoltre che l’intervallo di tempo studiato dal WMO e dal MIT/British Office è lo stesso, l’WMO semplicemente riportava gli stessi dati ma con una scala molto esagerata.


I fatti principali


Il Panel dei principali consiglieri dell’IPCC appoggiò la conclusione che “c’e evidenza di una influenza umana nel clima globale del pianeta”. Tale giudizio “avventato” fu discusso a lungo in una riunione di 3 giorni a Madrid alla fine del 1995 dove esperti di vari paesi posero in dubbio la natura di questa “evidenza”. Il principale scienziato americano nel campo il Dr. Fred Seitz pubblicò allora un articolo per denunciare questo fatto. L’IPCC rispose che era loro “diritto” cambiare le conclusioni degli scienziati così che i politici potessero meglio comprendere il rapporto. Per la comunità geofisica mondiale, queste pratiche non etiche e la totale mancanza di integrità dei capi dell’IPCC fu abbastanza per rivelare che i loro “appelli” collettivi contro “gli effetti del comportamento umano sul clima” erano una frode.
La cosa più ridicola fu inoltre che il gruppo di studio dell’IPCC responsabile di tale argomento non produsse alcun documento. Ci furono solo appelli ai media e altre forme di propaganda. Per quanto riguarda la temperatura degli oceani l’IPCC scrisse che “E chiaro che gli oceani si stanno scaldando in modo significativo in risposta al riscaldamento totale dell’atmosfera. Infatti la barriere coralline stanno morendo”.
Alla riunione dell’Unione Geofisica Americana del 1992 (Hong Kong), 1993 (San Farcisco), 1994 e 1995 (San Francisco), Warren B.Wite di Scripps e sei altri colleghi presentarono una serie di lavori sulle variazioni della “Struttura termica globale inter-annuale e inter-decannuale della superficie degli oceani”. Tali studi si basavano su più di 5.200.000 misure di temperatura in profondità negli oceani tra il 30 parallelo S e il 60 parallelo N dal 1979 al 1994. Lo studio evidenziava che le temperature in superficie e quelle in profondità (400 m) mostravano un raffreddamento negli anni 80 di circa 1 C. In seguito si era avuto invece un riscaldamento fino al 1994. Sebbene le variazioni non fossero grandi il trend era evidente in tutti gli oceani, specialmente alle latitudini centrali. Dal 1995 Warren aveva dati sufficienti per dimostrare che le variazioni di temperatura dell’Atlantico e del Pacifico seguivano strettamente il ciclo delle macchie solari che è di 11 anni.
Per quanto riguarda le barriere coralline Richard Grigg, esperto di coralli dell’Università delle Hawaii, che ha sorvegliato i coralli degli atolli negli ultimi 20 anni, più volte pubblicamente ha affermato che non c’e evidenza della riduzione della crescita dei coralli nell’oceano Pacifico e Indiano che possa essere attribuita al riscaldamento delle acque. Grigg ha anche riferito che secondo i sui colleghi che lavorano in osservatori sparsi in tutto il mondo anche negli altri mari tropicali la situazione è la stessa.


I dati della IAPSO


Nell’agosto del 1955, assemblea generale dell’Associazione Internazionale per la Scienza Fisica degli Oceani (IAPSO), tenuta alle Hawaii, ci furono 14 simposi, 5 dei quali riguardavano la variazione del clima degli oceani e dell’atmosfera marina:
1) Circolazione delle acque su larga scala negli oceani.
2) Variazione di temperatura negli oceani nell’arco di dieci anni e su un periodo di tempo che comprendeva più decadi.
3) CO2 negli oceani.
4) Interazione tra acqua, aria e ghiaccio e processi che avvengono negli oceani ad alte latitudini.
5) Relazioni tra atmosfera e oceani. Oceani ai tropici e atmosfera globale.
In questo ultimo simposio 450 oceonografi e chimico-fisici dell’atmosfera fecero un rapporto basato sulle ricerche degli ultimi 4 anni.
Essi affermarono:
1) Non c’e una tendenza al riscaldamento degli oceani in corso e non c’e stata negli ultimi 50 anni. Ci sono zone dell’oceano che sono state più calde di altre per circa 10 anni, ma poi si sono raffreddate e altre aree si sono scaldate. Questi periodi seguono il ciclo delle macchie solari di 11 anni. Tale correlazione deve essere presa in considerazione. In media non si osserva però un riscaldamento generale dell’oceano.
2) Un’attenzione speciale è stata dedicata all’oceano artico. Fin dal 1937 sono state installate stazioni permanenti da USA, Canada e dalla Russia. Il risultato dei dati raccolti è che non si registra una tendenza al riscaldamento. Le rivelazioni dei ricercatori canadesi inoltre mostrano che negli ultimi 60 anni la calotta del ghiaccio artico non è ne aumentata ne diminuita. Nessuno ha mai contestato questi dati!
3) E’ sempre più evidente che i calcoli fatti al compiuter sull’assorbimento da parte degli oceani della CO2 siano sbagliati. Alle latitudini intermedia c’e un assorbimento di CO2 molto variabile da parte degli oceani. Tale assorbimento è disperso oppure interrotto dalla variazione delle condizioni atmosferiche e dalla mineralizzazione dei carbonati presenti negli organismi biologici marini. Il riscaldamento estivo degli oceani oppure il riscaldamento per mezzo dell’intrusione di masse di acqua più calda (tipo la corrente EI Ninos) fa dell’oceano una potente fonte di CO2 piuttosto che un assorbitore come usualmente viene supposto. In altre parole nell’atmosfera c’e molta più CO2 prodotta dagli oceani in quanto venga considerato.
4) E’ sempre più evidente che fenomeni come quelli di EI Ninos non producono effetti meteorologici come le “piogge di EI Ninos” e così via. Al contrario sembra che prima arrivino gli “effetti” meteorologici e poi la corrente EI Ninos. Ciò provocherà molti problemi a quelli che “prevedono il tempo”, ma distrugge anche gli argomenti dei sostenitori del “riscaldamento globale” i quali asseriscono che la maggior parte del riscaldamento viene dalla corrente EI Ninos.
5) I 10 anni di attività del programma internazionale Tropical Ocean-Global Atmosphere (TOGA) ha accreditato l’idea che la fonte primaria delle brusche variazioni atmosferiche (e climatiche) risieda nei tropici. Sono state trovate le prove delle origini tropicali degli uragani, tifoni e cicloni. Praticamente è stato accertato che all’equatore gli oceani e l’atmosfera sono molto più pieni di energia di quanto si pensasse e che i monsoni asiatici hanno un ruolo importante nella formazione della corrente EI Ninos nell’Oceano Pacifico e in quello Indiano non solo collegate nel tempo e nello spazio.
6) C’e ancora molto da lavorare per migliorare la comprensione delle grandezze in gioco che determinano le condizioni atmosferiche e il clima. E’ comunque chiaro che le attività delle specie umana sono di almeno un ordine di grandezza alle forze geofisiche che agiscono naturalmente sulla terra.


E’ tempo di ripristinare la vera scienza


Malgrado le lamentele di Yim Hansen, Carl Sagan, Yames Anderson, Susan Salomon, Rowland Molina, Robert Redford, Barbara Streisand, il Club di Roma, il WWF, Greenpace, il programma ambiente dell’ONU, il Principe Filippo e Al Gore, la popolazione umana sulla terra non è così numerosa e potente da essere paragonata alle forze geofisiche in atto, e non sta provocando il riscaldamento globale del pianeta. Le prove che sorreggono le sei affermazioni prima riportate sono troppo importante sono troppo importanti da essere ignorate. I sostenitori del “riscaldamento globale” e del “buco nello strato di ozono” sono in difficoltà. Hanno così tanto investito in tratti, regolamenti, agenzie intra e infra governative, organizzazioni, posizioni di prestigio, appoggi personali, e così via che il loro sforzo di affossare la verità e piegare la scienza alle loro concezioni ideologiche deve essere ogni giorno più forte. Per la popolazione che giornalmente che guarda la televisione e legge i giornali sembra che non ci siano più contrasti. Tuttavia la battaglia è ancora in corso.


Dalla rivista mericana | 21st Century Science & Technology

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